Religiose, missione formazione. Dall’assemblea Usmi non «ricette» ma l’invito a «curare i cammini»

Quando si parla di formazione, anche nella vita consacrata, c’è il rischio di privilegiare i contenuti, le tappe obbligate di un iter standardizzato, l’aggiornamento rispetto all’esperienza e alla relazione autentica. Servirebbe invece «più Vangelo e meno regole», sintetizza suor Cinzia Vennari, domenicana di Santa Caterina da Siena, priora provinciale per l’Italia, che per nove anni è stata maestra di noviziato dopo essere stata impegnata per altrettanto tempo nella pastorale vocazionale. «Nell’attuale situazione di precarietà e di sfida, la vita religiosa è chiamata a sfrondare, ad eliminare ciò che è accessorio ed esterno per arrivare alla sostanza che è solo il Vangelo, in una passione di vita in cui Cristo diventa unico», sottolinea la suora che prende parte ai lavori dell’assemblea dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia (Usmi) in corso a Roma. «Gli step del postulato, del noviziato, andrebbero ripensati», afferma suor Vennari.

Formazione infatti fa rima con interazione, in uno scambio che «mette in gioco» il giovane e chi lo accompagna, così che ognuno possa capire «qual è il desiderio di bene che Dio ha su lui, qual è la pista su cui correre meglio e dare il meglio di sé» e di conseguenza crescere insieme, in rete e nella comunità. La grande sfida di oggi è riuscire a «discernere la sete di vita e di senso che è nel cuore della gioventù», aggiunge suor Paola Letizia Pieraccioni, responsabile della formazione delle suore francescane alcantarine. «In una società liquida, dove c’è una mancanza di identità e di valori, in cui regna una grande confusione, c’è tuttavia una ricerca di Dio, di spiritualità forte, di scoprire il senso profondo della propria esistenza », osserva la religiosa secondo la quale occorre domandarsi come «accompagnare questo grido dello Spirito che spesso arriva da persone con percorsi non lineari a livello familiare e cristiano». La necessità di ripensare i modelli formativi nell’ambito del discernimento trova eco anche nella formazione permanente.

«Nei nostri Istituti abbiamo puntato molto su questa dimensione, cercando di aiutare le suore a fare dei passaggi a livello spirituale. Ma rispetto all’investimento, la risposta effettiva non è stata secondo quello che ci si aspettava», dice con franchezza suor Ester Pinca, superiora generale delle francescane alcantarine, per la quale «forse una certa struttura della vita consacrata, così come la storia ce l’ha consegnata, non contribuisce a fare un cammino di conformazione a Cristo». La formazione, spiega, «deve raggiungere il cuore di ognuno, ma la persona deve accettare di essere raggiunta: a volte invece lo stare in una struttura religiosa dà l’illusione di essere abbastanza avanti per cui non si ha più bisogno di camminare, di proseguire».

«Non esistono ricette, serve buon senso per curare percorsi che facciano sbocciare le persone e non per mettere addosso cappottini tutti uguali», rileva Maria Campatelli, direttrice della casa editrice Lipa e dell’atelier di teologia Cardinal Špidlík, che ricorda come spesso «la formazione sia impostata a partire dai dati per arrivare a una perfezione formale e non a partire dall’essere abitati da una vita che trasfigura». Invece, chiarisce, «la formazione è probazione, discernimento: ma la prova non è un test». Si tratta «di mettere le persone nelle reali situazioni di vita: è lì che esce la verità, mentre si continua a ragionare sul ritmo delle strutture, con luoghi e ritmi artificiali», scandisce Campatelli evidenziando che «la maternità spirituale passa attraverso un’esistenza vissuta insieme».

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